Tutto quello che insegna
la finta marcia pacifista
di Boaz Haetzni –
Israele si è ritirato dalla striscia di Gaza nel 2005, demolendo 21 fiorenti comunità ebraiche e sgomberando a forza 8.000 ebrei dalle case in cui vivevano. Israele ha persino riesumato i resti dei defunti ebrei dalle loro tombe, attuando in questo modo la disgustosa intimazione del celebrato poeta palestinese Mahmoud Darwish: “Andatevene, e portatevi via i vostri morti”.

Boaz Haetzni
L’idea era quella di “disimpegnarsi”. I pacifisti garantivano pubblicamente che d’ora in avanti avremmo visto riconosciuta dal mondo la nostra piena legittimità di reagire al terrorismo, come si farebbe con il terrorismo proveniente da un paese confinante. In effetti la comunità internazionale ci applaudì per un’intera decina di cinque minuti prima di tornare a ripetere le sue solite accuse e condanne.
I bombardamenti da Gaza sulla popolazione d’Israele iniziarono immediatamente dopo il ritiro, le nostre comunità di confine finirono subito sotto la minaccia di attacchi e sequestri, la macchina del terrore che era stata fino ad allora tenuta sotto controllo dalla presenza israeliana si trasformò in un mostro.
Non era passato nemmeno un anno dal ritiro israeliano quando i terroristi, penetrati da Gaza in Israele attraverso un tunnel di 3 km scavato fra Rafah e Kerem Shalom, uccisero due soldati e ne sequestrarono un terzo, Gilad Shalit. Dopo il ritiro, nel giro di alcuni anni buona parte del Negev israeliano e della piana costiera d’Israele fino a Tel Aviv e addirittura fino a Haifa è finita nel raggio della gittata dei razzi di Hamas.
Con il ritiro israeliano, la striscia di Gaza è diventata zona di guerra aperta. In questi tredici anni ci sono stati ben cinque round di combattimenti, tre dei quali particolarmente ampi, costati la vita a centinaia di soldati e civili e decine di miliardi di shekel ai contribuenti israeliani. Alla faccia del “disimpegno”.

Gilad Shalit
Questi risultati hanno insegnato agli israeliani una lezione duratura circa le vere intenzioni dei loro nemici arabi. E hanno insegnato loro che ritirarsi sulle famose linee del ’67 non eliminerà le minacce di attacchi e terrorismo e non attenuerà le pressioni e le condanne internazionali. Benché Israele abbia ceduto fino all’ultimo centimetro la striscia di Gaza, la guerra da Gaza non è cessata né diminuita, e il mondo non ha affatto riconosciuto a Israele il legittimo diritto di colpire gli elementi terroristi che operano da Gaza.
Anzi, dopo l’operazione anti-Hamas del 2009 la Commissione Goldstone concluse in sostanza che Israele non aveva il diritto di difendersi. Tant’è vero che per buona parte dell’operazione anti-Hamas dell’estate 2014 tutto quello che Israele ha potuto fare è stato cercare di intercettare in tempo i razzi palestinesi che piovevano dal cielo. Non appena ha reagito mandando i soldati dentro la striscia Gaza, insieme ai razzi sono piovute le condanne. Guai a chi fa concessioni e si ritira.
La “marcia del ritorno” sponsorizzata da Hamas non è altro che un tentativo furbetto di violare il confine (il “sacro” confine del ’67) e riversare migliaia di arabi da Gaza dentro Israele. Il ritiro da Gaza del 2005 non fece altro che attuare la prima fase del piano in 10 punti adottato dall’Olp nel 1974: “impiegare ogni mezzo, e in primo luogo la lotta armata, per liberare il territorio palestinese e stabilire un’autorità nazionale combattente su ogni parte del territorio liberato”.

“Ritirarsi sulle linee del ’67 non eliminerà le minacce di attacchi e terrorismo e non attenuerà le pressioni e le condanne internazionali”
Alla seconda fase – lasciar intendere d’aver accettato i “confini” del ’67 suscitando il plauso di pacifisti e mondo intero – seguirà la successiva: “una volta stabilita, l’autorità nazionale combattente palestinese si adopererà per conseguire l’obiettivo di completare la liberazione di tutto il territorio palestinese e la completa unità della nazione araba”. Questa volta i soldati israeliani schierati al confine hanno impedito alla marea jihadista di irrompere in Israele ed entrare nei villaggi, nei kibbutz e nelle città, con le conseguenze che non è difficile immaginare. Ma quando impareremo?
(Israel HaYom, Israelenet)